Dove inizia la tutela del risparmiatore?

1. Premessa

Ho maturato la convinzione che la tutela del risparmiatore sia Ia più accettabile e concreta forma di tutela del risparmio: penso infatti che, essendo il risparmio sempre investito in qualcosa (dalle banconote sotto il materasso agli strumenti finanziari più sofisticati), la locuzione tutela del risparmio significherebbe tutelare gli investimenti mentre la locuzione tutela del risparmiatore mi sembra una locuzione più precisa perché indica la salvaguardia del risparmiatore rispetto a determinati investimenti. Ad esempio, il Fondo di Tutela dei Depositi Bancari non è volto alla generica salvaguardia del depositante ma salvaguarda i depositi bancari di un determinato tipo e ammontare.  La salvaguardia di chi detiene banconote sotto il materasso avviene perseguendo politiche di stabilità monetaria. Col risultato che, se simili politiche hanno successo, possono risultare favoriti investimenti meno liquidi perché risentono delle sole vicissitudini degli emittenti gli strumenti finanziari e non delle vicissitudini del valore della moneta. Il sottoprodotto della stabilità monetaria diventa quello di favorire l’uscita delle banconote dai materassi verso l’economia reale.

L’economia reale è però costituita da imprese e da istituzioni le quali, tutte, hanno la  necessità di finanziarsi e, quindi, di vendere strumenti finanziari. Fra questi operatori vi sono anche le imprese bancarie, finanziarie e assicurative (censite alla lettera J del ATECO 2007) le quali, per ottenere finanziamenti, debbono convincere i finanziatori a comprare i loro titoli. Questo obiettivo si realizza perseguendo almeno due condizioni: remunerando i finanziatori e, qualora previsto, mantenendo fede all’impegno di onorare le scadenze. In estrema sintesi, entrambi questi obiettivi si perseguono monitorando due sintetici indicatori: il EBITDA e il EBIT. Entrambi gli indicatori derivano dalle analisi di bilancio: ne segue la necessità che i bilanci rappresentino in maniera veritiera e corretta l’andamento passato dell’azienda.

I bilanci tuttavia bilanciano sempre (cioè sono delle identità e non delle equazioni) per due motivi: i) perché censiscono eventi già accaduti; ii) perché sono pieni zeppi di valutazioni. Ne segue che entrambi i punti sono suscettibili di scelte ´arbitrarie’ per cui, se da un punto di vista giuridico, i bilanci sono veritieri e corretti fino a prova contraria, da un punto di vista economico-finanziario richiedono che il livello di `arbitrarietà’ venga limitato. Quest’ultimo obiettivo viene perseguito dai principi contabili internazionali (IAS/IRFS) che tendono a fissare regole sufficientemente flessibili per catturare i complessi fenomeni che connotano le attività d’impresa (bancaria e finanziaria, in tale caso), riducendo l’arbitrarietà del redattore e mirando alla sostanza degli eventi e non alla loro forma. Per questo da molti anni sono al lavoro centinaia di specialisti che cercano di armonizzare le regole, in modo da rendere confrontabili i risultati economico-finanziari, almeno dei soggetti vigilati.

2. Il bilancio delle banche

Mi sembra evidente che la tutela del risparmiatore che investa in prodotti bancari, finanziari  e assicurativi inizi dalla veridicità e correttezza del bilancio. Con riferimento alle banche, il più recente dispositivo in materia, che risale al 2005 (DLgs 38/2005), prevedeva l’obbligo di redigere il bilancio secondo i principi contabili internazionali (IAS/IFRS).

Con la Legge di Bilancio di fine 2018 (L. 145/2018) l’obbligo in questione è venuto meno (art. 1, commi 1070 e 1071)  perché il Decreto del 2005 è stato modificato introducendo il c. 2 bis che prevede la facoltà, per molti Intermediari Finanziari (IF), bancari e non bancari, di derogare dall’obbligo iniziale e di redigere il bilancio prescindendo dagli IAS/IRFRS.

1070. Dopo l'articolo 2 del decreto legislativo 28 febbraio 2005,
n. 38, e' inserito il seguente: «Art. 2-bis - (Facolta' di applicazione) - 1. I soggetti di cui all'articolo 2 i cui titoli non siano ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato hanno facolta' di  applicare i principi contabili di cui al presente decreto». 
  1071. I soggetti di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, i cui titoli non siano ammessi alla
negoziazione in un mercato regolamentato possono avvalersi della facolta' di applicazione dei principi contabili internazionali ai sensi dell'articolo 2-bis del medesimo decreto legislativo n. 38 del 2005, introdotto dal comma 1070 del presente  articolo, a decorrere
dall'esercizio precedente all'entrata in vigore della presente legge.

I commi appena citati pongono almeno due questioni: a) cosa significa <i cui titoli>; b) come valutare i fatti aziendali in assenza di Principi Contabili.

La locuzione della norma <i cui titoli> mi sembra abbastanza sibillina perché può intendersi in due modi: i titoli emessi dall’intermediario (che stanno fra le Passività e/o nel Netto patrimoniale) ovvero i titoli detenuti a qualsiasi titolo (che stanno fra le Attività). Ma non c’è da meravigliarsi: più e più volte si è visto che le leggi sono scritte malamente. Prescindendo da questa osservazione, restava comunque il problema di procedere in assenza di Principi Contabili.

Ad entrambi i punti sopperisce un intervento della Banca d’Italia che detta regole sia per le Attività, sia per le Passività di bilancio (circolare del 15 marzo 2019), nonché sulle modalità relative alle segnalazioni di vigilanza (circolare del 19 aprile 2019).

3. Osservazioni conclusive.

Se non ricordo male, alla fine dell’anno passato, a seguito del recepimento di alcuni Principi Contabili da parte della Bd’I (Circ. 262) si era acceso un dibattito, in particolare intorno allo IRFS9 che prevedeva nuove modalità di  censimento a bilancio degli strumenti finanziari e e di valutazione dei crediti, tali da fornire informazioni di sostanza sugli stock e sui flussi finanziari che interessavano le banche.

La levata di scudi, sempre se non ricordo male, fu motivata con la solita argomentazione: non possiamo continuare a caricare le banche di oneri. In verità, mi pare di aver capito che la levata di scudi fu contro l’idea di un bilancio che dia al mercato informazioni di sostanza. Ma è evidente: si sarebbe attentato alla salute del settore bancario.

Dal punto di vista della politica, il risparmiatore resta sempre una gran pecora da mungere, nonostante gli ingenti stock di pecorino romano. Poi, quando scoppia una grana, la si imputa alla Banca d’Italia, alla Vigilanza, si invoca la Costituzione che tutela il risparmio, si organizzano sé-dicenti class actions (che in Italia non esistono), si inventano truffe a seguito di eventi ben noti, cui seguono leggi di ristoro a carico dei contribuenti a valere su fondi di risparmiatori dormienti non ancora disponibili e via turlupinando popolo e contribuenti che pure applaudono.

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