Euro, No-Euro: un paragone fra gabbie

1. Premessa.

Questo riassuntino cerca di rispondere ad una mia affermazione che suonava più o meno così: Yalta è cessata con l’abolizione del dollar standard (1944 – 1971). L’affermazione, sicuramente criptica, va spiegata.

Per farlo, parto dalle seguenti ipotesi che, immagino, siano patrimonio conoscitivo di tutti, cioè appartengano ormai al senso comune: a) a parità di tutte le altre variabili, i) un aumento della quantità di moneta in circolazione determina inflazione, cioè un aumento dei prezzi e b) l’inflazione danneggia tutti coloro che non possono aumentare, di conseguenza, né il loro reddito (i percettori di redditi da lavoro e da pensione), né il valore dei loro crediti (cosicché ne risultano  avvantaggiati i debitori). 

Se così è, il sovrano, cioè chi ha il potere di `battere moneta’ dovrebbe  mantenerne la stabilità, cioè non creare inflazione salvaguardando così dal  deprezzamento chi la utilizza. Per perseguire questo obiettivo, la stabilità, da tempo immemorabile il sovrano si è dato delle regole, dei vincoli, affinché il pubblico potesse utilizzare la moneta come mezzo di scambio e come riserva di valore.

Indico questi vincoli, questo sistema di regole, con il termine `gabbia’.

2. La prima gabbia (1944-1971)

Se si cerca di ripensare alla metà degli anni Quaranta del secolo scorso non si può disconoscere che si è alla fine di un trentennio nel corso del quale in Europa sono state combattute un paio di micidiali guerre fratricide che, forse per la prima volta nella storia, hanno visto soccombere  non solo una quantità enorme di combattenti ma anche di civili. Non credo che questa constatazione sia stata irrilevante per gli attori della Politica di quel periodo nell’interpretare il fabbisogno di pace delle popolazioni e penso anche che i primi passi della costruzione dell’Europa siano stati generati da questa nobile aspirazione, già maturata dagli italiani rinchiusi a Ventotene. 

Oggi, dopo oltre 70 anni, ci troviamo di fronte ad un’Europa governata da una Moneta Unica  (una gabbia denominata Euro), considerata da molte parti come un iattura, alla quale  far risalire tutti i problemi che connotano, ad esempio, l’Italia: una forza politica è divenuta oggi preminente in Italia, e lo diverrà forse in Europa nei prossimi anni, al grido `No Euro’, facendo leva sull’illusione monetaria sempre gradita ai popoli proprio in quanto illusione. L’illusione consiste nell’alimentare la  credenza che la scarsità dei beni possa essere risolta aumentando la quantità di moneta, senza avvertire che vi è un altro effetto di questo evento ed è che un tale aumento si trasforma in un aumento dei prezzi iniquamente distribuito in quanto non controllabile dall’emittente.

Questa idea di attribuire alla Moneta la responsabilità dell’andamento dell’economia reale di un Paese, non è nuova ma, anzi, è ricorrente: ricordo, per l’Italia, ‘quota Novanta’ e, per il UK, le precarie vicende della convertibilità successive alla Prima Guerra, in particolare agli anni Venti Mi pare di poter concludere che, nei secoli, tutte le volte che si è cercato di stabilire d’imperio una parità della Moneta rispetto ad un determinato parametro, indipendente dall’andamento dell’economia reale, si è dimostrata la maggior forza dell’Economia rispetto alla forza della Politica; la parità della moneta stabilita d’imperio dai Governi è sempre stata smentita dalla forza dell’economia reale: potremmo dire che le parità pre-stabilite d’imperio non sono mai state rispettate perché l’economia reale, alias il commercio internazionale, le ha sempre fatte saltare.

Da ultimo, la parità pre-stabilita a Bretton Woods nel 1944 (1 oz. Troy = 36 $, denominata dollar standard), fu stabilita d’imperio e riferita ad un bene reale, l’oro, nell’ipotesi che la quantità di oro posseduto rappresentasse anche il potere del Paese che ne era titolare. A questo bene reale erano così agganciate le altre monete sia in forza della potenza economica e politica degli USA, sia perché convertibili in dollari, a loro volta convertibili in oro. L’accordo saltò il 15 agosto 1971, data alla quale l’Amministrazione Nixon comunicò  al mondo di non poterla più rispettare. Saltava così la `prima gabbia’ del secondo dopoguerra.

L’evento, apparentemente economico finanziario, minò alla base  l’accordo politico stilato a Yalta che prevedeva la spartizione dell’Europa in due aree di influenza fra i vincitori della II guerra. La ‘cortina di ferro’ segnava, grosso modo (cioè con alcune zone irrisolte, ad es. Berlino) tale divisione:  a Est, l’URSS, con un modello di sviluppo fondato sull’assoluta preminenza del ruolo dello Stato; a Ovest, gli USA, con un modello di sviluppo fondato sull’assoluta preminenza del Mercato. 

Questa divisione politica che perseguiva due modelli di sviluppo  incompatibili fra loro, tuttavia, non poteva impedire il commercio internazionale fra Paesi dell’una e dell’altra area; non si potevano impedire inoltre né la diversa velocità di sviluppo che caratterizzava le due aree di influenza né il fatto che il dollaro USA fosse la moneta di riferimento del commercio internazionale anche al di fuori dell’Europa in quanto, per l’appunto, sia in capo alla maggiore potenza mondiale, sia convertibile in oro.

Al momento della dichiarazione di inconvertibilità, la divisione politica fra le due aree tolse una gamba all’Unione Sovietica: il mezzo di scambio terzo in grado di regolare il commercio internazionale nel mondo non era di fatto il rublo, ma il dollaro ancorché non convertibile. Il dollaro USA si era automaticamente selezionato come il mezzo di scambio sufficientemente affidabile, che tendeva a mantenere il suo stesso valore nel tempo e conosciuto e riconosciuto come tale dai mercati ove si dovevano regolare gli scambi di merci.

Come alla fine della guerra, nel 1971 il divario fra i livelli di sviluppo dei due Paesi che stavano a capo della due aree di influenza (URSS e USA) era nettamente a favore degli USA per cui, il dollaro, ancorché non più convertibile, restava la valuta di riferimento per il commercio internazionale. Non si può dimenticare che nel corso del secondo dopoguerra si ha anche il processo di decolonizzazione che contribuisce a ridimensiona il forte potere politico-economico del Regno Unito, l’unico impero rimasto in vita dopo la Prima guerra.

3. La seconda gabbia (1972 – 1979)

Se ci posizioniamo nella seconda metà del 1971 si capisce bene che il commercio internazionale, anche fra Paesi europei, poteva venire regolato, oltre che dal dollaro, anche da qualsiasi moneta di un Stato sovrano; il che implicava la possibilità che i valori delle monete dei diversi Stati sovrani, determinato dal mercato dei cambi, potessero essere erratici e quindi poco affidabili per svolgere funzioni monetarie.

Relativamente all’Europa, questo problema venne fronteggiato in ambito Comunità Economica Europea (CEE, sancita dal Trattato di Roma nel 1957, con l’obiettivo di creare il Mercato Unico Europeo – MEC -, cioè un mercato con libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali): nel 1972-73 si decise di a) mantenere il dollaro USA come punto di riferimento e, b) di consentire che il valore delle valute dei Paesi CEE avrebbero potuto discostarsi nell’ambito di un intorno percentuale stabilito (il c.d. serpente monetario) rispetto al valore del dollaro. 

Si può notare che anche questa seconda gabbia si reggeva su di un parametro quantitativo indipendente dall’economia reale, ancorché verosimilmente derivante da osservazioni sul campo (+/- un x% del valore del dollaro).

Questa iniziativa, tuttavia, venne travolta dai due shock petroliferi degli anni Settanta che, in Italia, falcidiarono i risparmi degli investimenti in Cartelle Fondiarie, da anni negoziate al 5% fisso.

Nel frattempo, comunque, la questione monetaria restava cruciale per tutto il mondo. 

Relativamente all’Europa, nel 1974, presso la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI, una banca delle banche centrali) il consesso di banchieri centrali si accordò per costituire il Comitato di Basilea (con diversi obiettivi che ruotavano intorno al rafforzamento della vigilanza internazionale sui sistemi di pagamento) e di regolamentare le banche ordinarie (cioè  non centrali). È nell’ambito del Comitato che sorgono gli Accordi di Basilea che hanno l’obiettivo di indicare i parametri  patrimoniali di cui le banche avrebbero dovuto disporre per svolgere il loro mestiere di `battere moneta’, evitando che eventuali loro dissesti si ripercuotessero sugli averi dei depositanti. Si dipartono da lì i provvedimenti oggi noti con gli acronimi di Basilea 1 (1988 e 1996), Basilea 2 (2008), Basilea `3’ e 4 dei periodi più recenti, che affinano le relazioni quantitative che debbono instaurarsi e sussisstere fra attivi  e fondi propri delle banche.

4. La terza gabbia (1979-1998)

Per tornare al fallimento del serpente monetario, il periodo di forte instabilità degli anni Settanta tese a ridimensionarsi solo nel 1979 con la nascita del Sistema Monetario Europeo (SME).

Questo evento può essere considerato uno spartiacque rispetto al passato: la gabbia costituita dal `tallone aureo’, in realtà dal dollar standard, e successivamente dalla breve vita del serpente monetario, venne sostituita da una gabbia costruita intorno a variabili economiche che tendevano ad un accordo fondato sull’evoluzione  delle singole economie dei contraenti: nel caso dello SME, dal valore del cambio valutario fortemente agganciato al commercio internazionale. Non più dunque su parametri indipendenti dalle economie che si accordavano ma su evidenze economiche che discendevano dall’economia reale.

L’accordo prevedeva infatti di: 1) mantenere una parità di cambio, prefissata in un intorno del 2,5%, rispetto ad unità monetaria convenzionale (la European Currency Unit, ECU) costituita dal valor medio dei cambi del paniere delle divise dei Paesi aderenti all’iniziativa; 2) in caso di scostamento eccessivo di una valuta dal valor medio di riferimento, il relativo governo aveva l’obbligo di adottare politiche volte al rientro verso quel valore medio; 3) veniva creato un fondo comune di ‘stabilizzazione’.

5. La quarta gabbia (dal 1998 ad oggi)

L’accordo venne sostituito dall’Unione Monetaria Europea (UME 1998) che poggia tutt’ora su diversi Trattati internazionali (es.: Maastricht, 1992; Lisbona, 2007, ecc.) fra Paesi europei che cercano di realizzare l’ambizioso progetto del Trattato di Roma, quello del mercato unico e della libera circolazione.

La gabbia entro la quale oggi si opera è costituita 1) dal Fiscal Compact (alias, Patto di Bilancio, Bruxelles 2012) che, semplificando un po’,  tende a confermare gli accordi precedenti in tema di `pareggio di bilancio’ pubblico e 2) obiettivi inflazionistici della BCE (inflazione = +/- 2% annuo). 

Quanto al tanto deprecato `pareggio di bilancio’, si tratta di un pareggio, sui generis, nel senso che non si prevede, come per le imprese, che le attività, dedotte le passività, uguaglino il patrimonio netto contabile di fine anno. Ma che il bilancio pubblico possa espandersi annualmente contraendo debiti, purché essi non superino il 3% del Prodotto Interno Lordo (d/PIL <= 3%) con il vincolo che il cumulo dei deficit annui venga contenuto entro il limite tendenziale del rapporto Debito/PIL (D/PIL) <= 60%.

Questa gabbia vista oggi, e soprattutto da un Paese come l’Italia che ha un rapporto D/PIL intorno al 130% fa un po’ sorridere; da tempo, tuttavia, l’UE  chiede all’Italia e anche ad altri Paesi, di rispettare almeno una configurazione tendenziale del D/PIL in diminuzione, il che può realizzarsi soltanto se il rapporto d/PIL tende a zero e non al 3%.

6. Qualche conclusione

Come ho cercato di evidenziare, non mi sembra vi sia alcuna possibilità di evitare un sistema di regole (una `gabbia’) a salvaguardia della stabilità monetaria, né pensare che la moneta venga rappresentata da un bene reale può rassicurare; enne volte nei secoli si sono visti sovrani coniare monete d’oro con la loro effige la quale certificava il falso contenuto aureo. Per decenni abbiamo rigirato fra le mani banconote `pagabili a vista al portatore’ per osservare che, a vista d’occhio, compravano sempre meno beni e servizi. 

Qualsiasi essa sia, dunque, è sempre necesaaria una `gabbia’ che limiti il potere del sovrano (oggi un sovrano organo collegiale, come la Banca Centrale) nel generare inflazione. 

Le `gabbie’ che ho sopra riassunte hanno avuto negli ultimi 70 anni una evoluzione sorprendente rispetto al passato: si è passati da una moneta agganciata, seppure in maniera indiretta, all’oro ad una moneta agganciata a parametri statistici rappresentativi, nei limiti del possibile,  dell’evoluzione prospettica dell’economia (i parametri di Finanza Pubblica, Debito e deficit), inglobando nella `gabbia’ anche un parametro di stabilità monetaria attribuito come vincolo alla Banca Centrale (+/- 2% annuo).

Il parametro di stabilità monetaria indica il margine di flessibilità convenzionale di cui dispone la Banca Centrale la quale, per perseguire l’obiettivo primario della stabilità, ha tuttavia il potere di avvalersi anche di operazioni non convenzionali (come si è visto, il QE, in caso di inflazione nulla o di deflazione).

Le operazioni di Banca Centrale si trasformano in immissioni e distruzioni di moneta che avvengono in contropartita di garanzie; queste ultime sono costituite da Titoli del Debiti Pubblico, che viene generato dagli Stati sovrani. Più affidabile è il Debito Pubblico di uno Stato sovrano, migliore è la qualità della moneta di Banca Centrale. Il supporto della moneta (metallico, cartaceo, digitale, che sia) non ne testimonia la bontà; essa è certificata quotidianamente dal suo potere d’acquisto: più è stabile, meglio funziona anche come riserva di valore. Per questo la Banca Centrale è e deve essere guardinga.

In conclusione, a me sembra che la stabilità monetaria sia il bene primario da perseguire da parte di chi la governa e da apprezzare da parte di chi ne fruisce. Ma la stabilità viene sistematicamente messa in discussione dagli Stati sovrani che emettono Debito pubblico eccessivo e che par tal via sollecitano emissioni di moneta pessima, analogamente alle banche ordinarie che non attenendosi ai parametri patrimoniali previsti,  sollecitano anch’esse emissioni di moneta pessima a salvaguardia dei depositanti in caso di dissesto delle banche.

Può essere che la stabilità monetaria possa non essere considerata il bene primario come può essere che la ‘gabbia’ da ultimo predisposta con l’UEM e l’euro non sia la migliore possibile e credo anche che spetti a ciascuno di noi scegliere fra le `gabbie’ del passato e quelle che si profileranno nel futuro perché, come avvertiva S. Jevons a fine 800 `la moneta è il moto perpetuo dell’economia politica’, ma sempre di un sistema di regole c’è bisogno per limitare i poteri di chi `batte moneta’: la Banca Centrale e le banche.

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